Data l'ENORME richiesta ho deciso di scrivere due righe sul nostro viaggio nella verde terra d'Irlanda. In realtà l'unico motivo per cui non volevo farlo è che ci sarebbero troppe cose da dire, molte delle quali in realtà solo significative per chi ha condiviso quei momenti, però ho pensato che alla fine dei conti, la cosa potrebbe aiutarci a non dimenticare, e quindi eccomi qua, a scrivere una cronaca, più che un diario. Iniziamo confermando alcuni luoghi comuni a proposito dell'Irlanda: - È veramente tutta verde - È veramente bellissima in ogni sua parte - Si guida a sinistra - Nei pub s'incontra gente di ogni età - Ci sono pecore che zompettano allegramente ovunque ... e smentendone altri (probabilmente solo di akuccia): - L'aereo NON atterra in mezzo ad una prateria - Gli irlandesi NON sono tutti alti e rossi - Gli irlandesi, in realtà, NON esistono - I pullman irlandesi NON sono economici né tantomeno sempre puntuali (ma per noi italiani abituati alle FF. SS....) Infine citiamo alcuni fatti particolari: - Vivere è assai caro - Il concetto di "miscelatore" dell'acqua fredda/calda è sconosciuto agli irlandesi (nel 99% dei lavandini troverete 2 rubinetti distinti. Grazie a Dio almeno nella doccia c'è SPESSO (!= sempre) qualcosa di più comodo) - Il té freddo non è mai arrivato in Irlanda - "Scolapasta" in inglese si dice "strainer" o "colander" - La vera pinta contiene 0.568 litri Detto questo vediamo di procedere con un po' più di ordine: Mercoledì 28 luglio 2004: Il sottoscritto (appearing as SukkoPera/sukko/zukko/zukkino/Giorgino), le sue quasi-compaesane Gloria (appearing, with much fantasy, as Gloria) e Marta (appearing, guess what, as Marta) e la sua amichetta quasi-torinese Elena (appearing as akina/akuccia/aki/Elenuccia) si ritrovano - già con un po' di fatica, dato che qualcuno perde allegramente tempo a (ri)fare colazione al bar - a Milano Linate, fermamente intenzionati a trascorrere 15 giorni in giro per l'Irlanda. Sebbene per Elena e Marta sia la "prima volta"... che volano, il viaggio trascorre piacevolmente e rapidamente (e affamatamente, dato che in classe ultra-economy nessuna istanza della classe "cibo" è compresa nel prezzo del biglietto... e tra l'altro, abbiamo realizzato cosa differenzia i voli low fare da quelli un po' più costosi: l'incredibile densità dei sedili! I passeggeri continuano a salire e sembra quasi incredibile che ci sia un posto per ciascuno!), e in men che non si dica ci ritroviamo tutti circa 1500 km più in là, nella terra in cui si guida dall'altra parte, cosa che detta così lascia indifferenti, ma vedere automobili affrontare le famigerate "rotonde" al contrario di come siamo abituati... fa un certo effetto. Una volta a terra, la prima priorità è volare all'ostello, dato che gli zaini (backpacks per gli amici) non sono proprio leggerissimi: già qua ci si scanna un po', dato che qualcuno farebbe volentieri a meno di prendere l'Airlink, che costa la bellezza di 5 euri, e si butterebbe sui normali autobus, solo che uno che ci porti esattamente a destinazione non si trova e, data la nostra enorme capacità di orientamento a Dublino, cambiare autobus torna un po' scomodo e imprevedibile. Fatto sta che prendiamo l'Airlink, e incontriamo subito uno dei personaggi che più ricorderemo nei giorni a venire: trattasi dell'autista, che evidentemente è solito, da una parte, arrotondare lavorando come clown, e dall'altra, sperperare i guadagni in Guinness, dato che annuncia le fermate con monologhi sullo stile di: "Next bus stop... Next bus stop: Busáras... Busáras... Busáras... Blah blah blah... Madame et messieurs... Blah blah blah... Pasta, spaghetti", insomma, blaterando qualcosa in questa e quella lingua (notare che il "Blah blah blah" non è lì al posto di qualcosa, è esattamente quello che diceva!). Questo travia un po' la nostra visione degli irlandesi, ma ciònonostante in una mezzoretta arriviamo vivi a destinazione (Heuston Station), e scendiamo (scendendo passo persino a fare i complimenti al tipo: "You're great!" "Oh, thank you! Enjoy your stay!"). Tempo di orientarci su una cartina, e di camminare su qualche strada al di là delle protezioni per i pedoni, prendendoci insulti a josa dagli automobilisti, e ci ritroviamo all'ostello prenotato qualche giorno prima via Internet: il Brewery Hostel, chiamato così non a caso, ma perché si trova a due passi dalla fabbrica dublinese della Guinness. L'ostello è bellino: non una reggia ma più che vivibile, e come primo ostello in cui mi ritrovo a metter piede nella mia vita mi fa una buona impressione. In particolare lo staff è molto professionale, simpatico, e sempre pronto ad aiutare ("Do you have a car?" "No... You know, it's quite expensive, and then, you also drive on the LEF..." e qua mi blocco per correggermi in "WRONG side", ma la simpatica autoctona australiana (!) mi anticipa). La smania di buttarsi nella rocambolesca (?) vita dublinese è tanta, così ci prendiamo giusto il tempo di posare gli zaini nella camera a 8 letti riservataci (a metà) e di darci una rinfrescata, e subito corriamo fuori a cercare un autobus che ci porti in centro. La scelta cade sul 74A, che chiaramente rischiamo di prendere in direzione opposta... Sono le 5 passate quando arriviamo vicino a O'Connell Street, ora di mettere (finalmente) qualcosa sotto i denti. Fatalità vuole che praticamente di fronte alla fermata del bus ci sia un fast food di una catena tipicamente irlandese, come si può ben intuire dal nome: Abrakebabra, e così ci infiliamo dentro al volo, per sfamarci con 3 "Summer madness", ossia doner kebab (anch'esso piatto tipicamente irlandese) + bibita alla modica cifra di 3 euri. Notiamo subito nostro malgrado che in Irlanda aglio e cipolla la fanno da padrone in ogni pietanza, e anche nel kebab ce ne troviamo a quintalate, cosa che traumatizza Marta per tutti i giorni a venire. Gloria invece opta per un'anonima insalatina, dato che ha la sfortuna di essere vegetariana (ihihih!). Accantonata anche la pratica del pranzo, ci buttiamo in O'Connell Street, nei suoi negozi, nei suoi souvenir (c'è una catena irlandese, la Carroll's o qualcosa di simile, che vende SOLO souvenir, di qualsiasi tipo!), nei suoi landmark come lo "Spire", per gli amici "Stiletto in the ghetto", una specie di spillo gigante che punta verso l'alto, e la statua di James Joyce, utilizzata dai turisti come panchina, e molti altri. Dopo facciamo una capatina in Grafton Street, altra zona commerciale della città featuring la statua di Mollie Malone, di cui vi risparmio la storia, e, infine, inauguriamo il sacro rito della Guinness in un pub da quelle parti, per poi buttarci finalmente nella zona dei locali, la rinomata Temple Bar, facendo infine ritorno all'ostello, causa precoce stanchezza, dove - guarda caso - concludiamo il nostro primo giorno irlandese. Giovedì 29 luglio 2004: La sveglia del secondo giorno è puntata molto presto, dato che abbiamo molte cose in programma. Dopo la simpatica colazione offerta dal simpatico ostello (dopo la quale mi trovo in mezzo ad una delle mie attività preferite: il lavaggio dei piatti. 1500 km e non è cambiato niente...) ci gettiamo nelle strade di Dublin City, sotto la pioggia, evidentemente giunta insieme a noi. Visitiamo prima le due chiese di Christchurch, solo esternamente perché per entrare si paga (e far pagare l'entrata in una chiesa, per quanto bella possa essere, a me pare esecrabile), e St. Patrick, anch'essa solo esternamente, questa volta perché è occupata per una celebrazione, e quindi ci rechiamo a Merrion Square prima, e a Stephen's Green poi, dove facciamo conoscenza con la statua di Alan Wilder... erm, no, di Oscar Wilde, il tutto girando rigorosamente a piedi, dato che in fondo Dublino è molto piccola. Per il pranzo decidiamo di buttarci ancora una volta a capofitto nella tradizione irlandese, così ci rechiamo al McDonald's più vicino (o forse no? Boh, non ricordo!). Nel pomeriggio andiamo al Trinity College a trovare la famosa (non vi preccupate se non ne avete mai sentito parlare, è perfettamente normale) Palla di Pomodoro e il Book of Kells (che alla fine non andiamo a vedere perché abbiamo le braccine corte), e ci svacchiamo un po' nei giardini, mentre discutiamo su cosa sarebbe opportuno fare il giorno dopo. L'idea migliore pare quella di unirsi ad un tour organizzato per visitare Wicklow e Glendalough, ossia la parte sud-est dell'isola verde. Ci mettiamo così a spulciare le tonnellate di depliant rubate nei vari uffici del turismo visitati poco prima, e scegliamo il tour dell'agenzia "Over the top". Questo tuttavia richiede la prenotazione, e ci sono solo 14 posti disponibili, quindi corriamo subito alla ricerca di un telefono, dal quale il miglior English-speaking tra di noi (io, of course...) effettua la prenotazione senza problemi ("What's the expiration date of your credit card?" "September... erm... uhm... this year!", incerto se dire "ou-four", "zero-four", two thousand and four", "antani", o cos'altro). Fatto questo, la tappa successiva è la Guinness Storehouse, ossia la fabbrica della Guinness, sita vicino al nostro ostello, ossia uno dei motivi principali che mi ha spinto ad avventurarmi in questo viaggio. Raggiungerla è molto semplice, basta seguire le migliaia di indicazioni. Riusciamo ad ottenere lo sconto studenti sul biglietto, e paghiamo così SOLO 9 euri. Il biglietto, in sé, è una figata: trattasi di una specie di piccola saponetta di vetro con dentro una goccia della "black stuff" che, una volta giunti all'ultimo piano (la Storehouse si visita salendo dal basso verso l'altro) ci farà ottenere una pinta gratuita. Saputo questo ci affrettiamo a recarci all'ultimo piano... eheh, no, visitiamo con calma la fabbrica, anche se non ci capiamo molto, perché nessuno sa cosa sia il barley, piuttosto che gli hops o lo yeast (anzi, direi che è il momento buono per scoprirlo! wordreference.com mi dice che barley = orzo, hops = coni di luppolo (?) e yeast = lievito, buono a sapersi), e gli odori non ci aiutano. In ogni caso, la visita è piacevole, e una volta lasciato un segno del nostro passaggio al piano 4 (dove si possono compilare dei bigliettini. W Beer-Atha-Cliath, ihihih!), al quale incontriamo il nostro amico Perozzo, che si trova lì per il suo lavoro di entren... accompagnatore turistico, e skippati i piani 5 e 6, praticamente vuoti, ci ritroviamo al 7, che sarebbe il bar di cui sopra: si chiama "Gravity" ed è praticamente a forma circolare, con il bancone al centro e vetri tutt'attorno, attraverso i quali si gode di una spettacolare vista della città. Qua io ed Elena ci troviamo a bere praticamente 2 pinte a testa: la nostra e quelle di Marta e Gloria, che a bere birra alle 5 del pomeriggio non sono abituate (menomale! Nemmeno noi lo eravamo, a dire il vero, ma ci siamo adattati in fretta...). Belli allegri decidiamo di tornare in ostello per un breve riposino e per lavarci, e di andare poi a cenare finalmente alla vera maniera irlandese, ossia in qualche pub. Detto, fatto: ci ritroviamo con Perozzo in Temple Bar all'Auld Dubliner, dove ci lanciamo a prendere piatti più o meno a caso, alcuni dei quali consigliati dalle simpatiche vicine di tavolo italiane. Eccomi così prendere la Shepherd's pie: una bisteccona di manzo cotta in modo strano (cruda ma non al sangue), accompagnata da cavoli, formaggio e le immancabili patate sotto forma di puré: buono ma un po' pesante, se gli irlandesi mangiano sta roba ogni giorno... Elena e Daniele si lanciano invece nella... erm...boh, non ricordo il nome, ma comunque in una specie di zuppa con salsiccette e pane che non si capisce bene come vada usato, che in fondo non è niente male. Chiaramente io ed Elena prendiamo una Guinness, e ci dividiamo anche quella di Daniela, un'amica di Daniele, insieme al quale deve scappare presto per ragioni di lavoro. Rimaniamo ancora un po', poi decidiamo di cambiare locale, e dobbiamo provarne un paio, a causa della giovane età di Marta (ci vogliono 21 anni per entrare nei pub a Dublino, e né Marta né Elena li hanno ancora compiuti, ma la seconda evidentemente ha un aspetto molto giovanile, tanto che nessun buttafuori ha mai osato mettere in dubbio la cosa :***), finendo col ripiegare nel pub che dà il nome all'intero quartiere, il Temple Bar appunto, dove sbevazziamo ancora un po' (Gloria si sente anche rinfacciare da un tipo: "I've never seen such a small Guinness!" dopo aver preso una Guinness piccola... ma si giustifica dicendo che è la seconda). Morale della serata: io ed Elena ci siamo bevuti 5 pinte a testa, e stabiliamo che forse è meglio tornare a casa, dato che l'indomani dobbiamo svegliarci sempre presto, per partire per il tour di Glendalough. L'appuntamento è alle 9.30 davanti al Grisham Hotel in O'Connell Street. In realtà la serata si protrae ancora un po', dato che ci fermiamo ad un supermercato open 24 hours (averli anche in Italia!) a comprare qualcosa per sfamarci domani, ma anche perché riusciamo a perderci per la città, finendo nuovamente dalle parti di St. Patrick's. Orientandoci sulla cartina riusciamo a riportarci verso l'ostello, passando di fianco a un pub, il cui muro porta in alto una scritta: "Listen to your words, they'll tell you what to do, listen to the rhythm that's confusing you...", insomma, è un verso di Wake up dead man degli U2, con addirittura un pezzo in più! Tanto per rimanere sulle parole di Bono, "You just can't get enough of that lovey-dovey stuff", e in effetti non può finire così! Mentre Marta e Gloria proprio non ce la fanno più, akuccia ed io preghiamo gli dei affinché ci diano ancora un po' di forza per andare alla ricerca della sesta pinta, e ci mettiamo a vagare per i bassifondi di Dublino, alla ricerca di un locale segnato sulla cartina, che pare essere un tram-bar. Dopo mezz'ora di vagabondaggi decidiamo di soprassedere, e questa volta andiamo veramente a dormire :|. Venerdì 30 luglio 2004: Con la sveglia all'alba, e affannandoci, riusciamo a non perdere il mini-pullman che ci porterà in quel di Wicklow e Glendalough, e facciamo conoscenza col simpatico autista Keith. La cosa divertente e un po' incredibile dell'Irlanda è che basta allontanarsi non più di una dozzina di kilometri da Dublino per ritrovarsi completamente immersi nel verde e vedere la città in the distance in un panorama niente male. Il tour fa qualche pausa ogni tanto in luoghi caratteristici, permettendoci di vedere fantastici laghi, alcuni dei quali dal colore estremamente scuro, tanto che Keith ci dice che a volte si pensano essere enormi laghi di Guinness... MAGARI! :) Dopo un breve caffé offerto dall'agenzia, per ora di pranzo siamo a... Urc! Una cittadina di cui non ricordo il nome, nella quale però scorre un fiume, e così decidiamo di andare a consumare il nostro pranzo by the river, cosa che si rivelerà molto suggestiva. Subito dopo si parte per Glendalough, che in fondo è proprio a due passi: trattasi di un antico monastero, con tanto di chiese, lapidi e watchtower ("pisellone" per gli amici, sicuramente lo potete vedere in OGNI foto del posto), totalmente immerso nel verde e situato in prossimità di due laghi ("Gleann da loch" vuol proprio dire "La valle dei due laghi"). Noi, sboroni, prendiamo il percorso più lungo esistente e camminiamo per tutto il camminabile, finché non ci troviamo la strada sbarrata e capiamo che è meglio tornare indietro. Mentre aspettiamo che tornino tutti, chiedo a Keith quale sarà la prossima tappa, e lui mi risponde simpaticamente che entro 5 minuti saremo tutti addormentati sul pullman, ed effettivamente così avviene. Quando ci risvegliamo siamo già nuovamente in prossimità di Dublino, e sono la 5.30 del pomeriggio. Dal pullman intravedo una fermata dei bus con un dentista vicino, il cui motto è qualcosa tipo "Dental surgery while you wait!": si tratterà di un dentista ambulante? Mah, strane abitudini hanno gli irlandesi... Una volta tornati pensiamo che sia meglio andare a cenare presto, in modo da poter passare poi in ostello a lavarsi e uscire subito dopo. Scegliamo di nuovo un pub irlandese sulla riva del Liffey, dove manifestiamo tutto l'odio che proviamo per i nostri fegati ordinando le "Jacket Potatoes", ossia patate ripiene di... patate e con contorno di... patatine fritte. Niente male, per carità, ma vale quanto detto ieri, nella speranza che gli irlandesi non ci campino con sta roba (anche perché proprio economica non è...). Cogliamo anche l'occasione per renderci conto che più siamo lontani da Temple Bar, meno costa la Guinness. Infatti dai 4.95 euri del giorno prima scendiamo subito a meno di 4. Buono a sapersi... Dopo cena torniamo in ostello come previsto, ma Marta e Gloria sono troppo stanche per uscire, così usciamo solamente io ed Elena, e ci dirigiamo verso Temple Bar. Qua, per strada, tralasciando il gruppone di italiani che canta canzoni di Vasco/Battisti, ci ferma una tizia che ci regala un lime con un adesivo a testa, dicendoci che se andiamo in certi posti, l'adesivo ci sarà gratuitamente cambiato con un Bacardi Breezer (e del lime cosa ce ne facciamo!?). Ora, a lei il BB fa schifo, a me anche abbastanza, ma essendo gratis insisto che è il caso di andarlo a prendere. Tralasciando il fatto che Elena riesce a perdere subito il suo adesivo, riusciamo a trovare uno dei locali in cui è valida la promozione e scopriamo che... si pagano 5 euro per entrare! AAARGH! Fregatura! Facciamo rapidamente marcia indietro e ci rinchiudiamo in qualche altro pub, dove facciamo allegro consumo di birra e assistiamo all buttaggiofuori di una vecchietta un po' troppo allegra (girava con due bicchieri, probabilmente nemmeno pagati!), vecchietta che poco dopo incontriamo per strada impegnata a pestarsi con un'altra esponente del gentil sesso. Trinkate tre birre decidiamo che ne abbiamo quasi abbastanza, ed incominciamo ad incamminarci verso "casa", cercando di far fare una degna fine ai lime che ancora abbiamo in tasca. Scorgo un fantastico cancello a punte blu e decido che il mio continuerà la sua esistenza spiaccicato lì sopra. Vicino all'ostello notiamo un pub ancora aperto, e ci rendiamo conto che in fondo c'è ancora spazio per una Guinness, e carpiamo diem: qua la paghiamo 3 euro e 40, tanto per non smentire la regola dedotta il giorno prima. Il posto è molto romantico, con tanto di luci soffuse e candele sui tavoli, così (notare il legame consequenziale) ci mettiamo a parlare in inglese tra di noi, e lo facciamo evidentemente molto bene, tanto che la cameriera (nota: nei pub irlandesi non esistono i camerieri il più delle volte, sono al massimo dei raccattabicchieri) viene a chiederci un paio di volte se va tutto bene. Spaziamo tra gli argomenti più vari, con una certa insistenza su Ian Curtis e sui suoi Joy division/New order, cosa che si rivelerà premonitrice... Infatti, la notte viene simpaticamente animata dal simpatico Klaus, uno dei simpatici compagni di stanza che, con immensa fantasia ed originalità, decide di farsi venire una simpatica crisi epilettica vero le 5 del mattino. Fortunatamente la cosa non è grave e il tutto si risolve con un piccolo spavento e nulla di più (Da segnalare la fidanzata/moglie, che per capire se Klaus stava bene gli chiedeva "Where are you from?", suggerendogli anche la risposta: "Holland!" - o quel che era). Sabato 31 luglio 2004: Con l'aiuto dello staff dell'ostello (grazie Michelle!), qualche giorno prima abbiamo prenotato una notte al Kilkenny Tourist Hostel, guardacaso situato proprio a Kilkenny, seconda tappa del nostro tour, e oggi è il giorno in cui lasceremo Dublino per trasferirci lì. Prendiamo così baracca, burattini e il fedele 74A per recarci al mitico Busáras, passando davanti al cancello sul quale il mio lime ancora troneggia. Piccolo inconveniente: non scendiamo mai, così andiamo fino al capolinea, e dobbiamo prendere un altro autobus per tornare in centro (tra l'altro ripagando il biglietto, e non poco). In questo modo perdiamo tempo e, di conseguenza, il bus per Kilkenny. Quello successivo è due ore dopo, poco male: ne approffittiamo per scrivere le prime cartoline e per documentarci su quel che è successo nel mondo nei giorni precedenti (ci sono copie gratuite dell'Irish Independent), ossia niente. Quando infine saliamo sul bus, abbiamo la sfiga di sederci vicino ad un finestrino rotto, così, durante il viaggio, iberniamo. Kilkenny è una cittadina veramente molto piccola; la leggenda dice che ci siano qualcosa come mezza dozzina di ostelli e 80 pub, e di primo acchito sembra abbastanza realistica. Troviamo quasi subito l'ostello, un po' squallido ma funzionale (?), e andiamo alla ricerca di cibo, che troveremo solo ad una catena simil-McDonald's, la SuperMac, dopodiché ci rechiamo a far visita al castello di Kilkenny, che con lo sconto studenti ci costa solo 2 euro. Il castello è bellino, anche se purtroppo di antico ha poco: la maggior parte delle cose sono andate distrutte/vendute col passare degli anni, e sono state ricostruite ad immagine e somiglianza degli originali negli ultimi anni. Se non altro ha un ottimo ed enorme giardino, nel quale ci stravacchiamo per un po', intravedendo anche uno scoiattolo e strane statue in pose dandy. Per cena ci infiliamo in un pub postmoderno, che di irlandese ha poco, se non i piatti. Marta si dà agli involtini primavera, Gloria alla solita insalatina, mentre i due cessi rimanenti prendono un qualcosa con carne e rucola e le immancabili patatine fritte, il tutto leggermente piccante, accompagnato dalla classica Guinness e allietato dai rutti del vicino di tavolo. Per la serata ci infiliamo in un locale consigliato dalla guida turistica che ci aiuta ad orientarci: il pub della strega, o comecapperosichiama, dietro al quale vive una storia che non ricordo assolutamente. Fatto sta che sembra più un pub italiano: musica delle palle e tutta gente smorta e seduta ai tavoli, cosa che in un pub irlandese proprio non esiste. Cerchiamo quindi un altro posto, e dopo aver (sigh) saltato un pub con musica live, incontriamo due ragazzi italiani, lì con un viaggio organizzato, e con loro ci infiliamo in un altro pub, dove riusciamo a farci rovesciare una birra addosso. Infine, facciamo ritorno all'ostello, dove perdiamo 5 minuti buoni ad aprire la porta a combinazione, e ci buttiamo tra le braccia di Morfeo. Domenica 32... erm, 1 agosto 2004: Sveglia presto come ormai, ahimé, al solito, e corriamo subito a fare visita ai landmark che ci offre Kilkenny: è il turno della Black Abbey, prima, nella quale riusciamo a non trovare i sarcofag(h)i di pietra di cui parla la guida che sono letteralmente in mezzo al giardino, e della St. Canice's Cathedral poi, chiesa molto più grande della prima, che featura l'ennesima watchtower (ne rimangono un centinaio circa in tutta l'Irlanda), che però è un po' più in là, vicino ad un'altra chiesa, che a sto punto non sappiamo cosa sia, ma poco importa. Purtroppo la watchtower è chiusa e non possiamo visitarla (non tutte sono visitabili, perché alla maggior parte è crollata la scala che porta in cima, e solo raramente è stata ricostruita), così ci accontentiamo di un servizio fotografico sulle lapidi, che non mancano mai. È ormai ora di pranzo, così ci facciamo fare un panino fresco in un supermercato, dopo di che ci dividiamo: io e Elena decidiamo di andare a Cashel, sperduta cittadina nota per la sua rocca, mentre Gloria, che è già stata in Irlanda, ha già visto la rocca e sostiene che non ne valga la pena, rimane con Marta a Kilkenny. Ci rechiamo così alla busáras locale, dove uno spanatissimo autoctono japponese ci fa i biglietti, e ci fa notare che per andare a Cashel dobbiamo cambiare 3 pullman: a Clonmel prima e a Cahir dopo. Detto, fatto, e tra una partita di briscola e l'altra ci ritroviamo all'ostello O'Briens di Cashel: trattasi di ostello appena fuori città, immerso totalmente nel verde, nuovissimo, pulitissimo e tranquillissimo, veramente un gran posto. Dopo aver conosciuto i nostri compagni di stanza, vale a dire una canadese (no, una ragazza, non una tenda) ed un tedesco che si sta girando l'Irlanda in bici alla ricerca di non sa nemmeno lui cosa, e dopo una doccia andiamo a fare un giro nella piccola città, che ha veramente poco da dire. Effettivamente non ci sono turisti, e nemmeno i giovani del posto sono molto attivi, lasciando nei pub solo gente piuttosto inquietante, tanto che decidiamo di andare a mangiare in fretta e di passare la sera in ostello, almeno ci riposiamo un po', andando a dormire presto. Per cenare scegliamo un fantastico posto, che probabilmente di giorno è un'armeria, e di sera diventa un ristorante, dove mangiamo le immancabili patatine fritte con uova, bacon e insalata/pomodori. Per tornare a casa scegliamo di fare un giro largo, passando di fianco alla rocca, che dovremo visitare l'indomani mattina estremamente in fretta per non perdere l'autobus che ci porterà a Killarney, sede del rendez-vous con le Cousins. Finiamo così sulla strada panoramica, dalla quale assistiamo ad un fantastico tramonto, una cui foto va a finire come sfondo del cellulare di Elena. Proseguendo pensiamo anche di fare una capatina a delle rovine in mezzo ad un campo (in cui dozzine di mucche pascolano tranquillamente) che fronteggia l'ostello, idea che poi scartiamo all'ultimo dato che sentiamo voci inquietanti (leggi: di ubriaconi) provenire dalle rovine. È troppo presto per andare a dormire, così vado a coricarmi su una panchina fuori a guardare il cielo. Passa la tizia dell'ostello: "Are you allright?" "Yes, of course... Just watching the stars" "Oh, how nice!". Menomale che non ha pensato di alzare la testa, dato che col cielo nuvoloso si vedevano ben TRE stelle. Dopo un po' mi raggiunge anche Elena, e stiamo in piedi fino all'una (trasfendoci in cucina) a sparare vakkate su vakkate. Menomale che volevamo andare a dormire presto... Lunedì 2 agosto 2004: Corriamo subito subito subito alla Rock of Cashel, senza nemmeno fare colazione (o meglio, Elena si è svegliata prima e l'ha fatta, io ho preferito dormire 10 minuti in più!), alla quale entriamo pagando solo 2 euro, grazie al nostro status di studenti. Qua ci tocca ammettere che aveva veramente ragione Gloria: la rocca non ha molto da offrire, se non le solite tombe e i soliti pietroni; fatto sta che un quarto d'ora dopo siamo già di nuovo in ostello, dove posso finalmente fare colazione. Qualche ora ancora dopo siamo già a Killarney, dopo essere passati per Cork, dove abbiamo fatto conoscenza con due simpatici ragazzi veneti. Sistematici e recuperate le Cousins, che hanno avuto qualche problema coi bus, dato che oggi è una Bank Holiday (no, non nel senso che andiamo a svaccarci alla Bank of Ireland), e ovviamente nessuno di noi lo sapeva, e quindi i bus hanno gli orari tipici dei giorni festivi, realizziamo che a Killarney ci sono veramente moooooolte cose da fare, così decidiamo di tagliare una tappa dal nostro programma (addio Donegal!) e prenotiamo altre due notti al Neptune's, ottimo ostello che, tra l'altro, ha un pub esattamente di fronte all'ingresso, ihihih! In questo momento abbiamo la malsana idea di farci fare il bucato dall'ostello, e così, per la modica cifra di 7 euro e 50, il simpatico clerk ci dà un cestino da riempire. Io ho una camicia nera da lavare, e la metto insieme al resto della roba, supponendo che avranno l'accortezza di lavare i capi colorati separatamente da quelli bianchi, ma purtroppo no, non è così: quando qualche ora dopo ci tornerà il bucato ritroveremo tutte le magliette bianche grigie, anzi, "glacé". W il buon senso... Time for a Guinness in un pub all'aperto, cena al Burger King, dopo aver scartato un fast food locale causa i prezzi esagerati, seratina nello stesso pub all'aperto, e buonanotte! Martedì 3 agosto 2004: Oggi ci aggreghiamo ad un tour organizzato, con itinerario il giro del Ring of Kerry, avendo persino diritto ad uno sconto in quanto clienti di quell'ostello. Ad una delle prime fermate ci viene data la possibilità di visitare un villaggio in stile antico, nel quale fanno qualcosa che non mi ricordo più, e che comunque non è molto attraente, così preferiamo rintanarci nel locale accanto, che risulta essere un posto rinomato per il suo fantastico Irish Coffee: forse l'hanno addirittura inventato qua, e così Elena ed io ci persuadiamo l'un l'altro a provarlo, col risultato che ci ritroviamo con 5 euro in meno a testa, e col peggior Irish Coffee che abbia mai bevuto. Non che sia cattivo, ma sinceramente ne ho bevuti di migliori in Italia. Il picco emozionale della fermata lo raggiungiamo appena risaliti sul bus, quando una sconosciuta si intrufola e cerca di propinarci dei biglietti per un concerto di musica "country" di un tizio famosissimo, per ben 25 euri l'uno. Ci aspettiamo già che da un momento all'altro arrivi il collega irlandese di Giorgio Mastrota a proporci una batteria di pentole quando invece ripartiamo per la tappa successiva, che non è ancora decisa: infatti, basandosi su un criterio di maggioranza, il driver ci propone di fermarci a vedere un fantastico gioco con delle pecore, proposta che, fortunatamente, rimane solo tale, dato che interessa a pochi, e così proseguiamo dritti per la città successiva, dove ci fermiamo a consumare il packed lunch, in un romanticissimo piazzale di cemento, sotto un cielo scurissimo e con rischio di pioggia da un momento all'altro: in effetti oggi il tempo è orrendo. Mentre torniamo al pullman, ci separiamo: le Cousins vanno alla ricerca delle Toilets, io ed Elena andiamo a fare un giro ad un supermercato, dove decidiamo di prenderci un "caffé": il distributore è esattamente di fianco all'uscita, oltre le casse, e non capiamo come funzioni la cosa, dato che non c'è nessuna fessura dove inserire monete, il tutto pare gratuito. Chiamo così un clerk e gli chiedo "How can I get a coffee?". Lui arriva, mi chiede che gusto voglio (cappuccino), attiva la macchina e se ne va. A farmelo ero capace anche da solo! Mi tocca richiamarlo e chiedergli "Where do I pay for this?", perché mi indichi la cassa. Facevamo sicuramente prima ad uscire senza pagare... evidentemente gli irlandesi sono troppo stupidi per pensare anche solo di scroccare un caffé, bah. Il Ring of Kerry oggi ha ben poco da offrire: ci troviamo spesso a costeggiare l'oceano, che con questo tempo assume un fantastico colore grigio ("A picture in grey, Dorian Grey, just me by the sea..."), ma null'altro. Le fermate sono spesso anonime, tanto che non vediamo l'ora di tornare all'ostello per berci una Guinness nel pub di fronte. Così in effetti avviene, dopodiché è ora di cena: questa sera, per risparmiare, usufriamo della cucina dell'ostello, e ci prepariamo da noi un po' di cibo, finalmente sano sul serio: pasta al sugo (stendendo un velo piestoso sul sugo...), insalata, pomodori e mais. Era ora! Dopo cena, Gloria riesce a trascinarci tutti ad un Luna Park, dove riesce a perdere contro un bambino di 10 anni ad un tiro a segno con pistole ad acqua e a dilapidare miliardi di euri nelle classiche macchinette con la pinza a piovra, nel vano tentativo di appropriarsi di qualche inutile peluche di Winnie Pooh (bleah). Per consolarla la portiamo a bere l'ennesima Guinness (la 5° per me ed Elena...), e ci rintaniamo al Neptune's, dove nel frattempo ci hanno assegnato un'altra stanza, a soli 4 posti, che così è tutta per noi. Mercoledì 4 agosto 2004: Premessa n. 1: Killarney possiede uno dei più grandi parchi naturali del mondo, che è liberamente e gratuitamente accessibile da chiunque. Premessa n. 2: Vicino all'ostello noleggiano biciclette, e chi sta all'ostello ha diritto ad uno sconto (Figata st'ostello! 11 euro al giorno!). Premessa n. 3: Il tipo dell'ostello (che ieri stava facendo colazione alle 6 del pomeriggio con un bicchiere di pasta al sugo) ci ha detto che la zona di Killerney è praticamente "all flat". Premessa n. 4: Siamo 4 pazzi scatenati. Conclusione: Oggi noleggiamo 4 bici e andiamo a fare un giro nel parco. All'inizio sembra promettere bene, arriviamo alla Manor House (che veramente si chiamo in tutt'altro modo, che non ricordo), una principesca villa secolare, proseguiamo per le Antani Falls (idem), ottime cascate immerse nel verde, e ancora per qualche lago, cercando di seguire un percorso che abbiamo più o meno individuato sulla cartina che abbiamo comprato in ostello per ben 2 euro. Vicino al lago pranziamo con panini freschi comprati prima di partire, e ci svacchiamo un po' sulle rive, dopo avere rifiutato l'invito di un Caronte autoctono che campa portando i turisti a zonzo per il lago con la sua barca. Quando riprendiamo a pedalare siamo alla ricerca di una strada laterale, che ci permetterà di costeggiare il lago e di tornare verso la città. Il problema è che tutte le strade laterali segnate sulla cartina nella realtà non esistono, oppure sono troppo in alto o troppo in basso, e così siamo costretti a tirare sempre dritto, per questa dannata strada principale, che è perennemente in salita, tanto che, dopo un po', non ce la facciamo più, e ci fermiamo dinanzi ad un bivio e ad un amletico dubbio: destra o sinistra? A sinistra la strada è sterrata, ma una freccia indica chiaramente "Killarney", mentre a destra la strada è asfaltata, ma ancora in salita, e non sappiamo nemmeno dove porti, sappiamo solo che è la strada che abbiamo percorso in pullman il giorno prima, in senso opposto, per tornare in città. Decidiamo che il meno peggio è a sinistra, e ci impedaliamo (eh, mica ci siamo in-camminati!), ma per poco: infatti dopo poche centinaia di metri un cartello indica di svoltare nuovamente a sinistra per Killarney... peccato che la strada si inerpichi su per una collina in mezzo a rocce e risulti appena percorribile a piedi, non certo in bici. Al che aspettiamo che passi di lì qualcuno per farci dare qualche indicazione: una simpatica coppia di vecchietti si ferma e ci deride quando gli diciamo dove stiamo cercando di andare, e ci spiega che l'unica è tornare indietro. In realtà ci sarebbe una deviazione vicino ad un cantiere, che avevamo anche visto, ma non sa dirci se sia percorribile in bici. Risultato: torniamo fino al bivio, le Cousins decidono di tornare indietro, mentre la prode akuccia ed io decidiamo di arrampicarci ancora su, alla ricerca della famigerata strada laterale, che non troveremo mai. Dopo una dozzina di km, dei quali almeno 11.9 in salita decidiamo che ne abbiamo abbastanza anche noi, e giriamo le bici, dopo avere chiesto lumi ad un altro ciclista, che sapeva meno ancora di noi dove si trovasse, ma che aveva una cartina superdettagliata. La discesa si rivela decisamente più bella della salita, ed è anche dannatamente divertente! Avrò raggiunto velocità sui 50 km/h, e dovevo pure frenare per non tamponare il pullman che mi precedeva! Una macchina che invece mi seguiva, quando mi ha infine sorpassato, mi ha salutato tifando per me :). Ribecco Elena, che era più avanti di me, alla fine della discesa, e le dico che ho sperato fino a quel momento di ritrovarla, perché altrimenti sarei dovuto tornare su a cercarla e lei, dopo avermi insultato per questi pensieri porta-sfiga, mi dice che pensava esattamente la stessa cosa... Risaliamo poi sulle bici e torniamo indietro, per la strada che sembra non finire mai, facendo qualche pausa qua e là, e incontrando pure il tipo del bicinoleggio, che evidentemente percorre le strade della città alla ricerca di ciclisti stremati e/o persi. Quando siamo praticamente arrivati, Elena si ricorda improvvisamente di non avere ancora tastato l'asfalto Killarneyano, e così decide di buttarsi per terra mentre pedala. Una tizia che era in coda in macchina lì vicino scende spaventatissima e le chiede se si è fatta male, spiegando poi che le è preso uno spaghetto assurdo, al che Elena le risponde: "... you!?", mentre io la rendo partecipe del fatto che la mia amica "is used to tumbling every day". In ostello una ustionante doccia monotemperatura ci rimette un po' in sesto (e anche un po' in settimo), e ci dà almeno la forza di cucinare lo stesso menù di ieri. Dopo cena e lavaggio dei piatti siamo veramente spossati, tanto che le Cousins vanno direttamente a dormire, mentre Elena ed io riusciamo a trascinarci almeno fino al pub dinanzi al Neptune's, dove, trinkando la solita Guinness, attacchiamo bottone con dei simpatici personaggi, che si riveleranno un austriaco, una svizzera/australiana (vai a capire...) ed un americano, che, bevendo whiskey (lui beve solo quello...) ci prova spudoratamente con la svizzera, che pare starci ma vuole fare un po' la preziosa. L'austriaco invece, parlando un attimo ingarbugliatamente ci chiede (retoricamente) se siamo sposati. Quando gli rispondiamo di no se ne esce convinto con un "Ah... YOU'RE GOING to get married!". Quando lo smentiamo ancora una volta ci spiega che ha appena trovato la fede e che sta cercando di sensibilizzare i giovani sull'importanza dei sacramenti, al che capiamo che è meglio che ci togliamo di torno, e andiamo a fare compagnia ai nostri letti anche noi. Giovedì 5 agosto 2004: L'immancabile sveglia presto ci ricorda che dobbiamo andare alla stazione dei bus, per spostarci alla prossima meta: Galway. L'idea è di starci due notti, visitando la città stasera e aggregandoci ad una visita guidata dei mitici Cliff of Moher domani, per poi spostarci dopodomani a Donegal. Arriviamo a Galway nel pomeriggio e, nonostante la pioggia torrenziale, troviamo quasi subito l'ostello, che però non trova noi, o meglio la nostra prenotazione... Fortunatamente è solo colpa di un errore di spelling (Gloriaaaaaaaaaaaaaaaaaa!), e così dopo pochi minuti siamo in camera. L'ostello - AKA Sleepzone - è tutto nuovo e bello, anche se un po' caro (20 euri a notte a crapa). La prima priorità del momento è trovare un tetto per la domani notte, dato che allo Sleepzone è tutto pieno, e quella successiva prenotare un tour per i Cliff, quindi ci sbattiamo subito in giro per la città. La prima cosa è relativamente semplice: infatti troviamo, proprio di fronte alla bus station, un ostello che funziona in modo un po' particolare: non permette di prenotare i posti se non per il giorno stesso, quindi ci basterà arrivare presto domani mattina e dovremmo essere a posto. Arrivare presto non è un problema, perché comunque il tour che riusciamo a prenotare parte alle 9.30. Fatto questo e un po' di spesa per la cena, le Cousins tornano a casa, mentre, come al solito, io e akuccia andiamo alla ricerca di una pinta, che troviamo in un pub fuori e dentro il quale gente che suona violini. Dopo l'ormai solita cena a base di spaghetti e verdura andiamo in centro, alla ricerca di un pub, e finiamo coll'infilarci in quello (inculatissimo, peraltro) che da fuori sembra il più brutto, che però dentro rivela avere due piani, con chitarristi sotto e violinisti/zampognari sopra. La serata scorre piacevolmente e velocemente, mentre facciamo pensieri osceni sul merchandising Guinness appeso ai muri ("Miiiiii, l'orologgio!"). Tornando a casa ci accorgiamo che Galway è una città molto simile a Dublino, con un mucchio di gente per le strade a cantare e suonare (molto fantasiosamente gli U2), per la gioia di chi abita da quelle parti. Purtroppo l'indomani ci aspetta un'altra sveglia presto, e quindi non possiamo attardarci più di tanto... Venerdì 6 agosto 2004: Sveglia prestissimo, colazione, e corsa all'ostello anomalo, dove Ursula, direttamente da "La sirenetta" alla reception, ci cazzia perché è troppo presto e le prenotazioni non sono ancora aperte, dato che le stanze non sono ancora libere. Le spieghiamo che dobbiamo partire per un tour che ci impegnerà tutto il giorno e riusciamo ad ottenere la sua simpatia, tanto che le molliamo anche i bagagli che lei stessa (seeeeeeh!) ci porterà nella stanza che ci assegnerà. Veloce corsa a procurarci cibo (i soliti panini freschi) e in men che non si dica siamo a... uhm... be', in un qualche paesello sperduto on the road to the Cliffs, che dà direttamente sull'oceano, dove pranziamo dispersi in mezzo ai campi distruggendo i famosi muri costruiti senza cemento per farne sedie improvvisate. Facciamo poi un breve giro del paesello, dove troviamo un fantastico café con un cartello che punta verso l'oceano e recita "Last café for 3000 miles". Riusciamo appena a non perdere il pullman e, in pochi minuti siamo ai mitici Cliffs of Moher: WOOOW! Una delle cose più belle che abbia mai visto in vita mia! Trattasi di scogliere a picco sull'oceano, la cui altezza raggiunge i 210 metri (non so quante volte la guida l'abbia ripetuto), assolutamente affascinanti. Ovviamente c'è un percorso da seguire per ammirare lo spettacolo, con tanto di barriere, ma noi ce ne freghiamo e saltiamo al di là, ritrovandoci a pochissimi metri dal precipizio con una visuale fantastica. Non mi dilungo oltre perché é uno spettacolo veramente indescrivibile. Sulla strada del ritorno facciamo tappa alla Aillwee Cave, dove le mie tre simpaticissime amiche mi lasciano entrare da solo *G*. Si tratta questa volta di una caverna naturale, scoperta a metà 19° secolo, un tempo usata dagli orsi per il letargo, tanto che sono state trovate ossa. Per informazioni vi rimando a http://www.aillweecave.ie. In realtà, la visita della caverna lascia un po' interdetti, essendo carina ma niente di spettacolare. Insomma, le amichette alla fine hanno fatto bene a non entrarci, 6 euro risparmiati *GGG*. C'è ancora tempo per vedere un qualche rinomato castello (da lontano), e poi ritorniamo a Galway City, dove ci viene la geniale idea di prenotare un altro tour per il giorno dopo: quello delle Aran Islands, dato che avremo diritto ad uno sconto, facendolo con la stessa agenzia di quello di oggi. Questo, tuttavia, implica la soppressione di una tappa tra quelle previste, dato che, nel progetto originale, domani saremmo dovuti andare a Donegal per poi spostarci a Sligo, procedendo verso nord. L'idea migliore è sopprimere proprio una di queste due tappe, e così, dopo una NON rapida consultazione con due simpatici personaggi che ci ritroviamo in camera insieme (uno dei quali cerca in tutti i modi di farci saltare Sligo, dicendo che "it's not bad but... it's ok, just ok", al che Gloria suppone che lì viva la sua ex-moglie), la scelta cade su Donegal: così ci armiamo di guida agli ostelli e telefono e prenotiamo un ostello a Sligo per la notte successiva. Per la cena abbiamo l'insanissima idea di procurarci, al supermercato, del riso precotto in busta, simile a quello a cui siamo abituati ogni tanto (notare la contrapposizione) in Italia. Avremmo dovuto capire subito che il riso dello Zio Fagiolo (Uncle Bean) era meglio evitarlo, ma abbiamo voluto rischiare, e alla fine ci siamo trovati con un riso dal sapore metallico, ma che dalla fame abbiamo mangiato, dopo avere lottato con la cucina elettrica che non si capiva come si accendesse (tanto che sopra c'erano già pentole di gente che continuava ad andarle a controllare e si stupiva che fossero ancora fredde...). Questo ci mette duramente alla prova, tanto che dopo solo Elena ed io abbiamo il coraggio di uscire (o forse sarà l'ormai contratta pint-addiction?), andando in riva ad un fiume che attraversa la città a condividere i nostri pensieri più reconditi e i nostri dettagli più intimi, cosa che dura poco perché l'ennesima levataccia ci aspetta... Sabato 7 agosto 2004: Dopo la colazione riusciamo a convincere l'ostellaro a tenerci gli zaini fino a quando non torneremo, anche se ufficialmente non saremmo più loro ospiti, e, brancato il solito panino fresco, andiamo ad aspettare il pullman nel punto indicatoci dalla tipa dell'ufficio dove abbiamo prenotato il tour, pullman che ci porterà a Rossaveal, dove faremo cambio di mezzo, salendo sul traghetto che ci traghetterà (!) fino a Inis Mor, la maggiore delle isole Aran (http://www.visitaranislands.com, http://homepage.eircom.net/~domainnames/home.html). L'attesa si protrae un po' troppo, tanto che, dopo aver chiesto informazioni in un altro ufficio della società, scopriamo che il pullman ferma da tutt'altra parte. Incacchiati a morte (perché perdendo il pullman avremmo perso il traghetto, sconvolgendo il programma della giornata) corriamo alla nuova fermata, dove fortunatamente c'è un altro pullman che arriverà in tempo per farci prendere lo stesso traghetto. Non paghi della sfacchinata di pochi giorni prima, decidiamo di noleggiare ancora una volta delle biciclette, dato che l'isola in fondo è piccola e poco montuosa, ma le Cousins non si fanno convincere, e così ci separiamo. Cartina alla mano, Elena ed io riusciamo subito a sbagliare direzione al primo bivio, finendo così su una strada sostanzialmente senza sbocchi, nemmeno escursionando in mezzo ai campi, cosa che ci riporta al punto di partenza. Nello stesso momento un pedale della mia bici decide di abbandonarmi, e così facciamo ritorno al bike hire per cambiare bici (e qua vi sfido a spiegargli che c'è un pedale rotto... "It just doesn't work well!"). Fatto questo ci imbocchiamo verso la strada "giusta", che, giustamente, si rivela essere una perenne salita :/. La nostra meta voleva essere Dún Aengus, una fortificazione di pietra che è il punto più famoso dell'isola, ma alla fine, date le poche forze rimasteci, ed il crescente odio per la salita, che non finisce mai, ci fermiamo ad un altro forte più piccolo, di cui mi sfugge il nome. In realtà questo offre poco, e con un giro attorno e attraverso (con tanto di scavalcamento del cancello per uscire, dato che in teoria sarebbe chiuso) vediamo tutto quello che c'è da vedere, e siamo pronti a tornare giù, dove andiamo a girare i negozietti dell'isola. Da notare che le isole Aran sono famose per la loro lana (forse qua dovrei menzionare il fatto che in tutto il girare che abbiamo fatto per l'isola non abbiamo visto nemmeno una pecora?), ed i maglioni che vengono confezionati con essa: Elena è alla disperata ricerca di un maglione che le piaccia, il che implica: viola, senza bottoni e della sua taglia, requisiti che lo rendono impossibile da trovare (ad un presso umano), e così ci consoliamo con dei cornetti Love Potion e Pepsi a litri, prima che si scateni un temporale, che accompagna il nostro viaggio di ritorno in traghetto, con immensa gioia di Elena ;). A Rossaveal riprendiamo il pullman e torniamo a Galway, dove facciamo un salto all'ostello per recuperare i nostri zaini, dopo di che andiamo alla stazione dei bus per prendere il pullman per Sligo: Gloria: A ticket for Sligo please, one way. Bigliettara: When do you want to go to Sligo? Gloria: At 8 o'clock, there should be a bus. Bigliettara: Oh no, that's on Fridays only. Noi quattro ci guardiamo e sbianchiamo. Elena affrettosamente recupera i timetable che avevamo usato per organizzarci e realizziamo che sulla colonna del bus delle 8 troneggia un bel "FO", che ci era sfuggito in precedenza, e che la legenda traduce come "Fridays Only". DANNAZIONE! Data l'ora non possiamo più andare da nessuna parte, né in pullman, né in treno (solo a Dublino, ma non è una grande idea), e trovare un tetto per la notte a quell'ora si preannuncia un'ardua impresa. Tuttavia non ci demoralizziamo, recuperiamo una Phone directory ("Phone guide" secondo Gloria) e iniziamo a chiamare ostelli. Incredibilmente uno dei primi che chiamiamo (di cui non faccio il nome per pietà) dice di avere dei posti, così ci andiamo al volo. Entrati, capiamo subito che c'è qualcosa di strano, dato che ci fanno attendere in sala per un po', finché non ci chiamano e ci spiegano che i letti sono tutti occupati, ma potremmo dormire "in the attic" (dicendo queste parole il tipo mima un tetto), per 20 euri. Le nostre facce lasciano trasparire il nostro stupore, tanto che il tipo ci porta a vedere le "camere": l'attic è la mansarda impolveraterrima, dove troviamo una dozzina di materassi per terra. Non abbiamo nemmeno bisogno di consultarci per capire che l'unico desiderio di tutti è di uscire da quel posto il prima possibile, così, entro 30 secondi siamo di nuovo in strada, vagando a caso alla ricerca di una sistemazione. Passiamo di fronte ad un altro ostello, e proviamo a chiedere. Questa volta il tipo ci dice che, essendo i letti tutti pieni, possiamo dormire nella stanza comune "if you can find a place": entriamo e notiamo un certo odore, e troviamo due fantastici tipi spanatissimi che ci salutano con "Buongiorno". Inutile dire che finisce nuovamente come all'altro ostello, ed in 30 secondi siamo in strada. Arriviamo di fronte ad una pseudo-pizzeria e ci dividiamo: Elena rimane fuori a guardare i bagagli, Marta e Gloria entrano, chiedono un'altra guida telefonica e si mettono a far telefonate, mentre io continuo a girare a caso per la città. La mia ricerca mi porta in una decina di ostelli, in cui la mia domanda è sempre la stessa, "Have you got four beds for tonight?", mentre le risposte variano da "No, sorry, we're full" a "Naaaah, we're even more than full". Riesco persino a perdermi per la città e ad entrare in una casa privata (che colpa ne ho io se questi fuori hanno un cartello "B&B" che tengono lì anche quando il B&B che c'era ha chiuso secoli prima!?), e quando riesco finalmente a tornare alla pizzeria Gloria mi annuncia che ha trovato una stanza in un B&B: è un po' cara (150 euri da dividere in 4), ma è l'unica possibiltà. Non ci rimane che accettare, così richiamiamo e diamo la conferma, dicendo che arriveremo verso le 10: infatti sono ormai le 8.30, lo stomaco brontola, e siamo ovviamente dalla parte opposta della città. Ordiniamo così una pizza al formaggio da 16 pollici, a nome di "Mr. George", abbastanza rassicurati. Soprassedendo sulla disgustosità della pizza bruciacchiata (no be', in fondo non è male, ma la pizza è un'altra cosa), data la disponibilità che i tipi del negozio hanno dimostrato prestandoci la guida e ospitandoci, ci mettiamo in marcia, zaini in spalla, in direzione del B&B, il "Lynfield House B&B" (e questo lo cito per diffamarlo). Ovviamente inizia a piovere, è ormai buio, così, altrettanto ovviamente, sbagliamo strada, e ci mettiamo un po' a trovare la famigerata College Road dove dobbiamo andare. Fatto sta che arriviamo lì verso le 10.20: Gloria: "Hi, we have a reservation" Sguattero: "Erm, I apologise, but the boss decided he would not wait for you and sold the room" Bastano le parole "I apologise" per far nuovamente sbiancare me, Gloria ed Elena. La povera Marta ci mette un po' di più perché - ebbene sì, finora l'ho sempre tenuto nascosto - non sa l'inglese. La cosa che ci fa inca**are è che questi, per prenotare, hanno voluto il numero di una carta di credito, che gli abbiamo prontamente dato, e quindi avremmo tutto il diritto di reclamare la stanza. Tuttavia sono troppo stanco per parlare, così gli dico solo che "This sucks" e me ne vado, ripetendo a me stesso che devo imparare degli insulti inglesi da usare in situations like this. La speranza, comunque, è sempre l'ultima a morire, e trovandoci noi all'inizio di una via ZEPPA di B&B ci rimettiamo in marcia, col solo risultato di vedere una quantità enorme di cartelli "No vacancies". Ormai non ci resta che tornare verso il centro (lanciando una bottiglia di plastica vuota nel giardino del Lynfield come ricordo... Purtroppo non abbiamo altra immondizia), dove ci sono hotel e ancora ostelli/B&B. Inutile dire che è TUTTO pieno, dall'ostello più skincio agli hotel 4/5 stelle, questo probabilmente perché Galway è la seconda città irlandese (magari non come dimensione ma sicuramente come affollamento/vita), perché siamo nel weekend, e perché ci sono una Maratona ed una corsa di cani oggi, e quindi la città straborda di gente. Non ci rimangono che due soluzioni: la stazione dei bus, che troviamo chiusa, e il cercare di impietosire i tipi dell'ostello di ieri notte, nella speranza che ci lascino dormire in cucina o sulle scale. Mando così avanti le tre donne, e tutto quel che otteniamo (oltre ad una simpatica presa per i fondelli: "Is it raining?" *GGG*) è una cartina della città con segnati tutti gli ostelli... cosa che ovviamente già avevamo. Comunque ci mettiamo a girare tutti quelli che non abbiamo ancora girato (3), ottenendo sempre la stessa dannata risposta: "No vacancies". Arriviamo così sconsolatissimi all'ultimo ostello ancora da provare, sulla cui porta un simpatico signore di mezza età sta fumando una sigaretta: Io: "Are there any chances of sleeping here?" Tipo, indicando il cartello sulla porta dietro di lui "No vacancies": "No, sorry" Io: "Not even in the kitchen or in the bathroom?" Tipo, capendo la situazione: "Uhm, where are you from?" Io: "Italy" Tipo: "Oh, Italians are nice! I'll do my best!" e si infila dentro all'ostello, dal quale esce poco dopo con un altro tizio, che ci chiede quanti siamo e ci dice che, vista la situazione meteorologica, ci può fare dormire nella common room, se ci accontentiamo del pavimento. Noi, ormai increduli, ovviamente accettiamo, e in men che non si dica ci ritroviamo su dei materassini, con delle coperte, con un tetto sopra la testa e al caldo, pagando solo 15 euro, ovvero la tariffa standard dell'ostello. L'ostello in questione è il Woodquay Hostel (http://www.woodquayhostel.ie), e lo cito per doveroso tributo, dato che ci ha dimostrato che un briciolo della rinomata ospitalità irlandese esiste ancora. Siamo veramente grati ai gestori. È mezzanotte scarsa, ma siamo decisamente stanchi e ci addormentiamo subito. Questa, per me, si rivelerà addirittura essere la notte in cui ho dormito meglio, dato che, causa la mia altezza, nei letti standard mi incastro tra le ringhiere, e qua, non essendocene ho potuto estendermi a volontà! Ancora una cosa: la mia gratitudine ai gestori del Woodquay è pari al mio disprezzo verso quelli del Lynfield. Domenica 8 agosto 2004: Sveglia relativamente tranquilla, una volta tanto, dato che in ogni caso i nostri programmi sono scombussolati e quindi tanto vale prendersi un po' di calma. Purtroppo il non aver potuto raggiungere Sligo ieri sera, come previsto, ci obbliga a tagliarla fuori dal nostro giro, e così ci rechiamo direttamente a Derry, che è già in Irlanda del Nord. Sarà l'aria inglese, sarà la stanchezza, sarà la pietra PORTAFORTUNA che Gloria ha comprato ieri alla cava, sarà la Juve che ha venduto Vieri una decina d'anni fa, fatto sta che ci mettiamo quasi un'ora a trovare l'ostello, perché al telefono non ho capito bene la via in cui si trova. Speravo che sapere che è "Wood-qualcosa" ci bastasse ad individuarla su una cartina, ma non è così. Dopo un paio di telefonate per farci spiegare la strada, e dopo essere stati in un altro ostello (pochi metri più avanti), riusciamo finalmente a giungere all'ostello "casalingo" di Séan (sperando che si scriva così), che si trova in WOODGLICH TERRACE (come potevo capire una roba del genere!?). La cosa divertente di Derry è che è una città che ricalca le colline che tanto ci hanno fatto penare in bici, essendo un sali-e-scendi continuo. Per di più il punto centrale della città ("The Diamond", un monumento ai caduti del Sunday bloody Sunday se ricordo bene) è praticamente rialzato rispetto al resto della città, un po' come se fosse sulla punta di una piramide, e per andare da una faccia all'altra della piramide devi per forza passare di lì... geniale, a dir poco. Come anche geniale è il fatto che questa città si chiami Derry o Londonderry, non ho capito a discrezione di chi, boh? Comunque è sempre la stessa cosa. In ogni caso, dopo una pausa in ostello per riprenderci dalla sfacchinata, andiamo alla ricerca di cibo, che troviamo al Burger King locale. Dopo, per riprenderci dal mattonazzo sullo stomaco, andiamo alla ricerca di una sfacchinata, che troviamo perdendoci per la città. Alla fine è abbastanza tardi, e noi siamo decisamente stanchi, così questa sera non ceniamo nemmeno e andiamo a dormire prestissimo, senza nemmeno aver bevuto la classica pinta! Aaaaaargh! Lunedì 9 agosto 2004: Già stanchi di Derry decidiamo di andare quanto prima possibile a Belfast, passando solo rapidamente nella zona dei murales (che in Irlanda del Nord sono un po' ovunque) per fotografarli. Belfast si manifesta subito come città molto più inglese che irlandese (poi be', io non sono mai stato in Inghilterra), dove tutto è molto più compassato. L'ostello che ci ospita qui è il "The Ark", piccolo ma accogliente, dove trascorreremo due notti. Il nostro primo pensiero, come sempre, è il cibo, quinci ci rechiamo al più vicino simil-ristorante che troviamo, l'ennesima succursale dell'ennesima catena di fast food, la KFC (Kentucky Fried Chicken) o qualcosa di simile, dove Elena si sbizzarrisce mangiando pannocchie. Il pomeriggio lo spendiamo girando a zonzo per la città ed i suoi monumenti, e io commetto uno degli errori più grandi della mia vita: lascio che le tre donne entrino in un Disney Store: sebbene siano ultraventenni (Marta quasi) non ne usciamo prima di tre quarti d'ora... "Guarda che bello Sully!"/"Noooo, Winnie Pooh!"/"Uuuuuuuuuuh, Eeyor!" (si scriverà così?)... Al che io vado a farmi la coda più lunga del mondo nel McDonald's lì vicino per prendere da bere, cosa che stupisce la cassiera: Io: "A medium Coke" Cassiera: "What else?" Io: "Just a medium Coke" Cassiera: "Just a medium Coke!?" Io: "Yeah, only a Coke!" Cassiera: "Allright..." Sarà una cosa così rara? Mah... Grazie a Dio alla fine riusciamo a tornare all'Ostello, dove ci informiamo per un Tour della Giant's Causeway per domani, poi le donne vanno a far spesa e ceniamo, con cosa? Già, con i soliti spaghetti al sugo e qualcos'altro, tra cui dei fantastici biscottoni al cioccolato che Elena ed io ci sfidiamo a mangiare interi. La sera è qualcosa di inquietante: usciamo tutti presi bene per andare in un pub storico, molto antico, che però troviamo pieno (nel senso che tutti i tavoli sono occupati, non è che la gente straripi), e quindi pensiamo di cercarne un altro, scartando quello immediatamente di fianco, che è addirittura vuoto. Tutti gli altri pub che troviamo, però, non sono da meno, essendo assolutamente DESERTI, il che ci deprime un po' e fa scemare la nostra voglia di entrare, abituati agli affollatissimi pub dell'Eire. Alla fine ci facciamo coraggio e ci infiliamo in uno che ha ben 5 clienti (ancora una volta è la necessità di Guinness a spingerci). Elena non resiste e chiede al barista dove cavolo siano tutti i Belfastiani, e ci sentiamo rispondere che c'è poca gente in giro fuori dai weekend e che quei pochi che ci sono sono nel pub di fianco a quello che avevamo scartato, a patto però di entrare dal retro. Non capiamo bene cosa intenda, e quindi torniamo sui nostri passi, per verificare: effettivamente il pub in questione ne ha un altro attaccato dietro, e questo è pieno di gente, e ci sono addirittura dei musicisti che allietano il tutto. Buono a sapersi per domani, per oggi ne abbiamo abbastanza e andiamo a letto. Martedì 10 agosto 2004: Oggi facciamo l'ultimo tour guidato della nostra vacanza, per visitare la Giant's Causeway (http://www.irelandunveiled.com, http://www.geographia.com/northern-ireland/ukiant01.htm), uno strano luogo che la leggenda vuole costruito da un gigante per raggiungere la donna dei suoi sogni. Finora ci era sempre andata bene: in tutti i tour che abbiamo fatto il tempo è stato clemente, e sono sempre state giornate limpide in cui abbiamo potuto ammirare i paesaggi in lontananza. Oggi invece butta male: c'è una foschia paurosa, ma cercheremo di adattarci. La prima tappa è il ponte di corda di Carrick-a-Rede (Carrick-A-Rede Rope Bridge, http://www.nationaltrust.org.uk/scripts/nthandbook.dll?ACTION=PROPERTY&PROPERTYID=391): un ponte di corda abbastanza corto, costruito da pescatori, che collega un isolotto alla terraferma (si fa per dire...), la cui scarsa lunghezza è compensata dall'altezza a cui si trova. Sebbene possa sembrare roba da poco, attraversare un ponte di corda è una bella sensazione, che fa molto Indiana Jones (da qui la nascita di akina Jones/akina Pipps). Anche il paesaggio che ci aspetta al di là è fantastico! Aneddoto divertente della tappa è che partiamo senza alcuni passeggeri, che sono in ritardo e il tipo non li può aspettare. Tornerà a prenderli dopo. Mah. Questa enorme e gratuita fretta ci accompagna anche durante il pranzo: praticamente, già in pullman dobbiamo scegliere un menù tra quelli proposti, e scrivere la nostra prenotazione su un blocchetto, che l'autista consegnerà di corsa appena arrivati al locale dove pranzeremo, in modo da fare in frettissima, dato che ogni secondo è prezioso oggi (non ho ancora capito adesso perché, ma soprassediamo...). All'apice della nostra fortuna, il nostro pranzo è tra gli ultimi ad arrivare, e così dobbiamo ingozzarci in fretta e furia. In compenso, la Giant's Causeway è un gran posto, sebbene sia il solito susseguirsi di (molte) salite e (poche) discese. Il paesaggio che presenta è assolutamente caratteristico e quantomai singolare. Tuttavia, di fronte all'ennesima salita ci tiriamo indietro, e così probabilmente vediamo solo un pezzo di tutto quel che ha da offrire, ma non importa, dato che era il pezzo più importante ;). Ci consoliamo con la solita tazzona di caffé ("beveröni") e ci avviamo per il ritorno. Back in Belfast, veloce spesa, solita cena + pseudo-bastoncini Findus + dolci al formaggio che abbiamo comprato in quantità industriale e che, giustamente, fanno schifo, al che mi tocca mangiarli tutti io, mentre Elena si strafoga con un nauseante dolce al cocco che si è comprata tutto per lei. La sera io, Marta ed Elena ci rechiamo in un pub che il barista della sera ci prima ci aveva consigliato: il The Fly, che tra l'altro è a due passi dall'ostello. Come la sera prima, in giro non c'è nessuno, tanto che il The Fly è assolutamente vuoto, gli unici clienti siamo noi, ma la cosa, questa volta, non ci ferma, e andiamo giù di Guinness, per poi tornare nel pub affollato della sera prima, che è affollato anche oggi, e anche oggi c'è gente che suona. Qua beviamo una Tennent's (finalmente! Basta Guinness!) e concludiamo la (ultima, sigh) serata con un Southern Comfort, gentilmente offerto dalla ditt... dal sottoscritto. Mercoledì 11 agosto 2004: Il programma di oggi ci vede tornare dove tutto è cominciato, ossia a Dublin City, dove passeremo la giornata per recarci poi all'aeroporto, da cui alle 7 del mattino partirà l'aereo che purtroppo ci riporterà a casa. Dall'aeroporto ci passiamo subito, per mollare i bagagli, e poi prendiamo il bus 16A (niente più Airlink, siamo esperti ormai!) per andare in centro, dove io corro ad un McDonald's per usufruire del bagno, dato il LEGGERISSIMO mal di pancia che mi opprime durante il viaggio. Cogliamo l'occasione per pranzare, e poi ci mettiamo a girare per Dublino, alla ricerca degli ultimi souvenir e delle ultime cartoline, nonché del peluche di Sally (quello di Monsters & co.) di cui si è innamorata Elena al Disney Store di Belfast, che però aveva esistato a comprare dato il prezzo. Grazie a Dio non lo troviamo e continuiamo a girare tutti i possibili negozi dublinesi. Per caso ci troviamo di fronte all'Ha'penny Bridge, che non abbiamo attraversato nei primi giorni, e quindi lo facciamo ora. Gira e rigira arriva l'ora di cena, per la quale ci dividiamo: Elena e io vogliamo tornare dove tutto è cominciato, al mitico Abrakebabra, mentre Gloria e Marta, non amando troppo i kebab, preferiscono andare altrove. In effetti le ripeschiamo in uno dei pub in cui eravamo già stati, al grido di "We know our chickens!". Arriva anche l'ora di prendere nuovamente il 16A per tornare in aeroporto, ma ce lo vediamo sfilare davanti senza riuscire a prenderlo... Fortunatamente ne arriva un altro sufficientemente presto per arrivare in aeroporto prima che il deposito bagagli chiuda (deposito bagagli che si può far aprire ad ogni ora in realtà, a patto di aspettare fino a 45 minuti in più e di pagare 100 euro per il disturbo...). Ritiriamo i bagagli e andiamo a svaccarci su alcune panche, dove cercheremo di languire fino alle 5 o giù di lì. Marta viene colta da iperattività, e si mette a girare l'intero aeroporto, alla ricerca di accesso a Internet e/o cibarie. Giovedì 12 agosto 2004: Verso le 2 ci spostiamo al piano di sopra, dove ci infiliamo dietro alle scale mobili e dormiamo alla meno peggio, mentre fuori infuria il classico temporale. Alle 4.30 mi sveglia Elena, proponendomi di andare a fare colazione. Be', vorrai mica rifiutare? Andiamo! Mentre cerchiamo il bar indicatoci dalle Cousins, che hanno già (!) fatto colazione, ci imbattiamo in un ristorante self-service, ancora chiuso, ma che si vede stare per aprire. La cosa ci ispira, così ci mettiamo in coda. Morale della favola: alle 5 del mattino ci ritroviamo a fare colazione con salsicce, triangolini di semolino (o qualcosa di simile), ma soprattutto scrambled eggs: praticamente uova strapazzate, servite a palle giganti con le pinze con cui in Italia siamo soliti servire il gelato (chiaramente molto più grandi!), il tutto bevendo SukkoArancia, almeno io, dato che Elena ha il coraggio di bersi una tazzona di caffé e mangiare anche un cornetto. Con questo malloppazzo sullo stomaco ci presentiamo al check-in, dove Gloria si fa sgamare con una forchetta ciulata giorni prima in un ostello per il pranzo, con la tipa della macchina a raggi X che le fa: "Is this for your breakfast?". Scampata l'accusa di essere terroristi facciamo il classico giro per i duty-free, e alla fin fine ci imbarchiamo, anzi, inaeriamo, e 3 ore dopo siamo di nuovo sul suolo italico :(. How THE END always is...